mercoledì 31 dicembre 2014

Royal Blood - Royal Blood


1) Out Of The Black
2) Come On Over
3) Figure It Out
4) You Can Be So Cruel
5) Blood Hands
6) Little Monster
7) Loose Change
8) Careless
9) Ten Tonne Skeleton
10) Better Strangers



Da un po' di tempo nel panorama musicale si sente il bisogno di una scossa, di qualcosa che faccia partire una scintilla e risvegli le nostre orecchie addormentate. Qualcosa di nuovo. Se ci fate caso di questi tempi ci ritroviamo ad aspettare nuovi dischi da gruppi vecchi, gruppi navigati di cui conosciamo già i trascorsi e che sono sinonimo di garanzia. Andiamo a colpo sicuro, il presente ha poco da offrire e il futuro è incerto perciò ci ancoriamo al passato e restiamo lì, contenti e soddisfatti di quello che abbiamo già. Una corrente di pensiero poco lungimirante che non ci permette di evolvere e di crescere mentalmente. Rimaniamo attaccati alle nostre certezze e non apriamo la mente all'ignoto, a quello che non conosciamo creando pregiudizi insensati. Ed è qui che arrivano i Royal Blood, per dimostrare quanto siano sbagliati questi continui pregiudizi verso la nuova musica che si affaccia al mondo, per smentire i dinosauri sempre pronti a brontolare su come la musica in passato fosse migliore rispetto a quella di oggi.


Il duo composto da Mike Kerr (bassista e cantante) e Ben Thatcher (batterista) va ad unirsi ad un filone ben nutrito di gruppi a due membri come The White Stripes e The Black Keys, senza avere nulla da spartire con essi. Il loro stile che abbraccia garage rock, blues e grunge dà una sensazione di unica familiarità, un "nuovo-già sentito" molto piacevole e rinfrescante che permea ogni nota del loro primo album omonimo. Ogni riff riesce a fare breccia nella mente e a restarci incollato, come quello della sensazionale Loose Change. Breve e diretta, prima trasportante e poi trascinante, perfetta per scatenarsi come la martellante Come On Over dove Kerr crea un ottimo connubio tra la sua voce e il basso, intenti a farsi il verso a vicenda.
Proprio nel basso sta la genialità di questo gruppo, un basso che il musicista di Brighton si è impegnato a far suonare come una chitarra grazie a particolari amplificatori, pedali e distorsori. Il suono che ne deriva è proprio quello di una chitarra elettrica e un basso fusi insieme, come fossero una sola entità. Il risultato è evidente soprattutto in brani come Blood Hands e Figure It Out dai raffinatissimi toni blues rock. La prima calda e suadente mentre la seconda piena di energia, segno della grande versatilità vocale di un Kerr capace di adattarsi ai vari stili proposti dalla coppia inglese.
Anche Thatcher vuole la sua porta e se la prende con prepotenza in Better Strangers con un intro tanto essenziale quanto penetrante, picchiando prepotentemente le sue bacchette e la cassa. Il riff che lo accompagna è di quelli memorabili, ma Thatcher si mette sotto i riflettori anche nell'incredibile Out Of The Black che è impossibile non associare allo stile dei Muse, quelli più cattivi dei primi lavori. Anche qui il batterista colpisce implacabile supportando un riff distortissimo e graffiante. Anche lo stile vocale di Kerr ricorda vagamente quello di Matthew Bellamy, meno potente nelle strofe ma più incisivo nei ritornelli. Le distorsioni raggiungono alti livelli in You Can Be So Cruel dove le corde del basso grattano le orecchie dell'ascoltatore con quelle sonorità tipiche del grunge sporco e rozzo. Pezzo molto sostenuto a tratti quasi pop, un po' come Careless complici delle strofe molto catchy e l'ennesima conferma della particolare voce di Kerr, capace di destreggiarsi in ogni situazione.
I due musicisti però raggiungono la coesione massima nei due brani di punta di quest'opera, ovvero Ten Tonne Skeleton e Little Monster. Nella prima Kerr trova il modo di esprimere al meglio le potenzialità del suo basso dal suono ritoccato con un riff che sembra un ascensore impazzito e nel bridge il suo falsetto diventa una ninna nanna letale. La seconda può tranquillamente essere definita una delle canzoni rock migliori di quest'anno, da ascoltare e riascoltare senza stancarsi mai. Ogni secondo contribuisce alla riuscita del brano nella sua interezza, una brano fresco e coinvolgente dall'inizio alla fine. Non dimenticherete facilmente questo riff, questa voce e i due assoli di basso e batteria.


I Royal Blood si lanciano involontariamente per diventare uno dei gruppi rock di maggior successo dei prossimi anni con uno stile unico e già ben definito. Nonostante l'album superi di poco i 30 minuti alla fine dell'ascolto si prova un senso di appagamento non indifferente, l'impressione che a questo lavoro non manchi quasi nulla. La quantità non è sinonimo di qualità e ne abbiamo la riconferma. Pezzi diretti e secchi, senza troppi fronzoli dato che il genere non li richiede. Questo gruppo è già sulla buona strada per diventare grande e lo pensa anche il chitarrista dei Led Zeppelin, Jimmy Page. Vedendoli live ha affermato che "porteranno il rock verso un nuovo mondo, se non lo stanno già facendo. La loro è musica di qualità pazzesca". Chissà quale sarà questo mondo, ma li seguiremo senza esitazioni.


VOTO: 8,5





lunedì 15 dicembre 2014

Knife Party - Abandon Ship


1) Reconnect
2) Resistance
3) Boss Mode
4) EDM Trend Machine
5) 404
6) Begin Again
7) Give It Up
8) D.I.M.H.
9) Micropenis
10) Superstar
11) Red Dawn
12) Kaleidoscope



Quando un artista decide di dare vita ad un nuovo progetto in che modo ci poniamo verso di esso? Probabilmente se l'artista in questione ha già realizzato in passato qualcosa di nostro gradimento ci aspettiamo che gli standard della novità rispecchino quelli dei suoi progetti passati, mentre se non lo apprezziamo particolarmente abbiamo la speranza che questa sia la volta buona per ascoltare qualcosa di meritevole, degno di nota. Quello di Rob Swire e Gareth McGrillen corrisponde al primo caso, per lo meno in parte.
I due produttori erano le menti alla base del gruppo drum & bass Pendulum, un gruppo che con il suo travolgente sound a metà tra rock ed elettronica ha contribuito a far arrivare questo genere considerato di nicchia a livelli impensabili, realizzando tre album di qualità eccelsa e diventando un punto di riferimento per chiunque decida di accostarsi per la prima volta a questo tipo di musica. Con queste premesse non vi risulterà difficile immaginare il dispiacere dei loro fan quando Rob Swire annunciò di voler accantonare il progetto Pendulum definendolo "roba da scuola elementare" per dedicarsi a tempo pieno con il suo amico Gareth al progetto Knife Party, maggiormente incentrato su generi come la dubstep e l'electro house. Sempre Rob Swire affermò che non c'era più la voglia e la gioia di fare qualcosa con i Pendulum, era diventato più un obbligo che una passione.
Il fatto di cercare nuovi stimoli e di divertirsi con la musica dovrebbe essere alla base di un vero artista e Rob Swire centra il punto, ma il nuovo risultato sarà all'altezza dei vecchi lavori dei due produttori e riuscirà a soddisfare i loro fan oppure li farà rimpiangere di non avere più nelle orecchie della buona musica?


Abandon Ship è il primo album del duo australiano che in precedenza aveva pubblicato 3 EP dalle sonorità molto originali e personali, anche se nell'ultimo si erano cominciati a intravedere i primi passi falsi dovuti ad un eccessivo riciclaggio di questa formula sì vincente, ma che alla lunga stanca. Dunque con questo primo lavoro esteso il gruppo aveva la possibilità di rinnovarsi proponendo delle novità nel loro sound e una maggiore varietà di stile. E questo è quello che è avvenuto, ma forse si è esagerato. L'album presenta 12 tracce molto diverse tra loro, prodotte con grande qualità compositiva e nella maggior parte dei casi ben studiate ma che tra di loro non riescono a formare un legame forte, una linearità.
In particolare alcuni pezzi come D.I.M.H. o Superstar che sono delle buone tracce adatte per le serate nei club, molto godibili e dalle atmosfere gustosamente dance (soprattutto la seconda), non sono riconducibili e rintracciabili come lavori realizzati dai Knife Party perché presentano pochissimi elementi appartenenti al loro vecchio stile. Questo non deve essere visto come un aspetto negativo dato che non è da tutti riuscire ad essere così versatili affrontando tanti generi diversi, e senza questa voglia di spaziare su più fronti non avremmo mai avuto modo di ascoltare le fantastiche Begin Again e EDM Trend Machine, con la prima che ci regala nuovamente l'incredibile voce di Rob Swire sparita dai tempi dei Pendulum su una base a metà tra il pop e l'house e la seconda ricca di influenze provenienti da molte sfaccettature diverse dell'house. Bisogna però considerare che questi brani dovranno essere proposti dal vivo, vera prova del nove per i produttori e i loro lavori, in un mix coerente e omogeneo.
Il rischio di proporre qualcosa di confuso che non si leghi bene alle loro precedenti produzioni è dietro l'angolo. Cercare di fare un poker con queste carte dai toni più raffinati e con delle carte più grezze come Boss Mode, cannonata drumstep e trap o come Micropenis, 404, e Resistance che si rifanno in modo efficace al loro classico stile electro house che abbiamo imparato ad apprezzare può essere complicato. Un discorso a parte va fatto per le fantastiche Kaleidoscope e Reconnect e per le loro atmosfere drammatiche, perfette per creare un po' di tensione a inizio e fine album. Un vero peccato che Reconnect sia solo un intro visto che si erge sopra la maggior parte degli altri brani del disco in quel breve minuto e mezzo.
Red Dawn è un grande punto interrogativo, interessanti le sonorità orientali ma nel complesso il pezzo è piuttosto anonimo. Non riuscirete invece a scordarvi facilmente di Give It Up, miglior traccia di questo lavoro e una delle migliori mai prodotte dal duo australiano da quando hanno iniziato questo progetto. Il loro classico stile riceve una ventata di freschezza e il risultato è un pezzo drumstep con influenze reggae che ricorda molto Bonfire ma con atmosfere più cupe. Un gioiello imperdibile.


In conclusione, Abandon Ship rappresenta un lavoro valido con alcune tracce godibili, alcune rivedibili e poche memorabili, prodotto in modo egregio e accurato ma debole di personalità. Potremmo definirlo un album camaleontico, capace di cambiare stile con disinvoltura e tranquillità andando a spezzettare quello che era un sound inconfondibile a favore di una più vasta gamma di sfumature. Certo è che i vecchi fan dei Pendulum si aspettano molto di più dai due australiani e attendono con ansia il preannunciato ritorno del gruppo, sperando che Rob Swire si sia giustamente divertito un po' con questo progetto e che torni a far divertire i suoi fan ai livelli di un tempo. Perché nella musica ci sono gli artisti ma ci sono anche gli ascoltatori e bisogna essere in grado di far convivere o almeno bilanciare le due cose.


VOTO: 7-





domenica 23 novembre 2014

Foo Fighters - Sonic Highways



1) Something From Nothing
2) The Feast And The Famine
3) Congregation
4) What Did I Do? / God As My Witness
5) Outside
6) In The Clear
7) Subterranean
8) I Am A River


Hanno suonato nelle location più grandi e suggestive del pianeta. Hanno inciso canzoni che verranno ricordate nel corso degli anni come classici. Due dei loro album hanno vinto il Grammy Award per il miglior album rock, uno di questi album è stato realizzato nel garage del frontman Dave Grohl e registrato su nastro nel 2011, rinunciando alle moderne tecnologie che permettono correzioni tecniche e molto altro. I Foo Fighters hanno sperimentato molte esperienze nella loro carriera, cercando sempre nuovi modi di mettersi in gioco, di superarsi, approcci diversi per rinnovare nei loro cuori l'ebbrezza della prima volta. Le novità e i rischi non li spaventano, e perciò anche questa volta si sono cimentati in qualcosa che per loro rappresentava un'ulteriore staccionata da superare, così da raggiungere un appagamento personale e poter dire:"Abbiamo superato anche questa".


Con Sonic Highways l'obiettivo ambizioso questa volta era di registrare otto canzoni in otto studi di registrazione statunitensi diversi, ovviamente situati in otto città diverse. Otto, perché questo è l'ottavo album del gruppo. Per aggiungere un ulteriore gusto di sfida, il testo di ogni canzone doveva essere finito di scrivere e registrato durante l'ultimo giorno all'interno dello studio per poi passare a quello successivo, in modo che Dave Grohl potesse carpire fino in fondo tutte le emozioni e le impressioni ricevute da ogni città. In più, ogni canzone vede la collaborazione di uno o più musicisti risiedenti nella città in cui si svolgevano le registrazioni. Un progetto imponente. Inutile dire che la pressione delle scadenze in questi casi diventa pesantissima e si rischia di non riuscire a lavorare con serenità e precisione. Ma i Foo Fighters ormai hanno esperienza da vendere e superano anche questa sfida, realizzando un buon disco dal sapore fresco nonostante tenda a delle sonorità per certi versi classiche.
La doppietta iniziale composta da Something From Nothing e The Feast And The Famine farà terra bruciata ai loro concerti. La prima è un lento climax che esplode in una raffica di colpi in cui Dave Grohl conferma tutte le sue grandi doti vocali cantando con tre stili diversi. Altro pregio al quale ormai i nostri cinque ci hanno abituato è il sapiente utilizzo delle tre chitarre impugnate da Grohl stesso, Pat Smear e Chris Shiflett che si intrecciano tra arpeggi, riff e assoli creando un muro sonoro imponente. La seconda è la classica canzone tiratissima in pieno stile Foo, sfrenata come un auto da corsa spinta dalla batteria di Taylor Hawkins. Si potrebbe pensare che a causa della snervante situazione in cui si è ritrovato a lavorare, il gruppo abbia deciso di puntare sul sicuro realizzando un disco con pezzi congegnali al loro stile. In realtà queste due sono le uniche canzoni che richiamano ai loro vecchi lavori. Nelle restanti sei c'è un'alta concentrazione di varietà e tanta voglia di cimentarsi su terreni poco visitati in passato. Il miglior risultato di questa sperimentazione lo incarna Outside, un pezzo che verso la metà raggiunge addirittura qualche sfumatura psichedelica e che si erge grazie all'ennesimo splendido sfoggio di talento chitarristico e compositivo. La voglia di libertà e di lasciarsi tutto alle spalle entra dentro e cresce fino a spronarci a uscire dal nostro mondo. Nota di merito per il basso di Nate Mendel che per tutta la durata del brano tiene alta l'atmosfera incalzante. Da non perdere assolutamente.
Piuttosto trascurabile invece In The Clear, piatta e ripetitiva senza mai raggiungere un momento davvero memorabile. Inserire una traccia così banale in un disco composto solo da otto tracce è un grave errore, comprensibile viste le condizioni nelle quali il gruppo ha lavorato ma poco giustificabile. Congregation è un altro brano energico che conferma la particolare attenzione posta dal gruppo sulla costruzione delle tracce. Uno di quei pezzi da mettere su mentre si è in macchina con gli amici e i finestrini spalancati. What Did I Do? / God As My Witness è probabilmente il brano che più si discosta dal classico stile dei Foo Fighters, con molti stacchi di ritmo e sonorità di fine anni 80, quelle dei Bon Jovi per intenderci. Un buon pezzo ma in alcuni punti (soprattutto la parte finale) risulta un po' fiacco e privo di spessore. Le due tracce che chiudono il disco sono tra le più lunghe che il gruppo abbia mai scritto: Subterranean e I Am A River. I ritmi sfrenati vengono messi da parte per lasciare spazio a due brani dalle atmosfere dolci, segno di una grande versatilità del gruppo. La seconda in particolare è una ballad ricca di emozione, con un intro da pelle d'oca e nonostante i suoi 7 minuti non riscontra momenti di calo, complice una performance di alto livello da parte di tutti i cinque componenti.


I Foo Fighters non riescono a raggiungere il risultato sensazionale del loro precedente capolavoro Wasting Light e mostrano qualche sbavatura in vari momenti dell'album. Ciononostante ci consegnano un lavoro più che soddisfacente, ben strutturato che mostra molto chiaramente tutto il grande lavoro che c'è stato dietro. Un disco che suona proprio come un omaggio alle otto città in cui è stato realizzato, con stili diversi e un'energia positiva costante. Da elogiare in modo particolare lo spirito con il quale questo gruppo si è approcciato alla sua creazione, uno spirito che continua a tenerli sulla cresta dell'onda come uno dei gruppi rock più grandi degli ultimi anni. Se pensavate che fosse un gruppo in declino dovrete ricredervi almeno un po'. Hanno superato anche questa, non al cento per cento ma l'hanno superata.


VOTO: 7,5




mercoledì 5 novembre 2014

Lindsey Stirling: quando la musica prende forma



La musica è uno strumento che veicola le emozioni, le stimola innalzando o sotterrando sentimenti specifici a seconda di cosa ascoltiamo. Questo è ciò che è in grande di fare l'arte, ma come ben sappiamo ne esistono varie forme. Ciò che rende Lindsey Stirling una grande artista, nel senso più puro del termine, è la sua capacità di congiungere queste diverse forme d'arte arrivando a creare un intreccio di musica e immagini fuori dal comune, suscitando un coinvolgimento emotivo nell'ascoltatore che non può lasciarlo indifferente.


La vita di questa ragazza dell'Arizona ha da sempre girato intorno alla musica, in modo più specifico intorno al violino e alla danza. Lindsey decide di unire queste due passioni e di farle conoscere all'America intera partecipando alla quinta edizione di America's Got Talent presentandosi come una violinista hip hop. La sua esibizione è di grande impatto perché la ragazza suona il violino su dei pezzi hip hop e pop mentre balla creando delle proprie melodie, cosa non facile. Il suo stile però è ancora acerbo e infatti, dopo aver superato le prime fasi viene eliminata dal televoto, ricevendo alcune critiche dai giudici che le consigliano di unirsi ad un gruppo o di cambiare il suo stile.
Lindsey rimane estremamente delusa dall'esperienza ma è convinta delle sue potenzialità, sa di avere talento ed è determinata a proseguire per la sua strada. Questa scelta si rivelerà essere la più importante e la più azzeccata della sua vita, perché qualche giorno dopo l'eliminazione dal talent show americano Lindsey viene contattata da Devin Graham, esperto della videografia che ha visto delle potenzialità da sfruttare e le propone di realizzare alcuni video su YouTube. Saranno proprio questi video che porteranno la ragazza dell'Arizona al successo virale, video che mostrano Lindsey suonare le sue composizioni in luoghi suggestivi dal fascino incredibile mentre balla. I video diventano sempre più frequenti e vanno mano a mano migliorando in complessità e bellezza, così come il suo stile musicale si fa ben più definito e più indirizzato verso l'elettronica.
Arriva il vero boom con Crystallize che ad oggi conta più di 100 milioni di visualizzazioni e conferma quanto Lindsey già sapeva: il suo stile, la sua passione, le sue capacità sono uniche e sono vincenti, non c'è bisogno di nient'altro.




Grazie a YouTube Lindsey Stirling ha avuto la possibilità di pubblicare due album e di far conoscere il suo talento in tutto il mondo. Questa è l'ennesima conferma di come la capacità di saper sfruttare al meglio i social media sia diventata una delle armi più efficaci per riuscire a sfondare in un determinato settore e la musica è nelle posizioni più alte di questa lista, se non al primo posto.
La ragazza ha grande passione e riesce a trasmetterlo attraverso le sue incredibili performance, vere e proprie opere d'arte visive che unite alla sua musica creano uno stile inimitabile e inconfondibile. Il suo violino dolce e maestoso si erge tra i beat elettronici, tra le tastiere e tra le chitarre, viene valorizzato al massimo e riesce a toccare corde emotive sempre diverse. Difficile distogliere lo sguardo da quelle immagini così travolgenti, che siano foreste assolate, lande ghiacciate, fondali marini o montagne impervie non fa differenza perché guardare il suo corpo muoversi nella natura fino quasi a diventare un tutt'uno con essa è sempre una grande emozione.
Lindsey Stirling è una maestra della comunicazione, sempre efficace nelle scelte visive e sonore e una grande persona. Insomma, riassume tutto ciò che dovrebbero avere gli artisti di oggi, sempre più schiavi di un sistema che ingabbia il loro talento o che lo getta via per fare spazio a fredde macchine da soldi.



Uno dei giudici di America's Got Talent affermò che Lindsey Stirling non avrebbe avuto le capacità per suonare il violino in condizioni più "estreme", come per esempio volteggiando in aria e che da sola non avrebbe fatto molta strada. Quest'anno Lindsey Stirling si è esibita alla nuova edizione del talent show per presentare il suo ultimo album, Shatter Me, suonando l'omonima traccia insieme alla cantante degli Halestorm Lzzy Hale. All'inizio della sua performance ha suonato il violino in aria appesa ad un cavo, con un sorriso sulle labbra che sembrava scacciare via ogni delusione passata, ogni paura di non potercela fare. Un sorriso spontaneo, pulito e sincero che sarebbe bello vedere più spesso sul volto di tanti altri musicisti. Questa è musica. Questa è arte.




giovedì 23 ottobre 2014

Nirvana - Nevermind



1) Smells Like Teen Spirit
2) In Bloom
3) Come As You Are
4) Breed
5) Lithium
6) Polly
7) Territorial Pissings
8) Drain You
9) Lounge Act
10) Stay Away
11) On A Plain
12) Something In The Way
Ghost Track: Endless, Nameless


Quando i Nirvana pubblicarono il loro secondo album, la Geffen Records aveva delle previsioni di vendita piuttosto modeste nei suoi confronti. Un gruppo di tre persone che dal vivo si divertiva a distruggere il palco su cui suonava, che proponeva un sound grezzo, sporco e con un cantante dal carattere piuttosto instabile se avesse venduto più di 200.000 copie avrebbe ottenuto un risultato più che soddisfacente. Neanche un veggente avrebbe potuto prevedere quello che sarebbe successo dal 24 settembre 1991 in poi.
Ad oggi quell'album, Nevermind, è considerato uno dei dischi più importanti della storia della musica con 25 milioni di copie vendute, realizzato da un gruppo che con esso ha saputo completamente reinventare il concetto di rock attraverso un nuovo genere: il grunge. Chitarre distorte e fangose, ritmi sfrenati tendenti al punk o incalzanti, di quelli che non puoi fare a meno di battere il tempo col piede. Ma la musica è sorprendente e non sai mai quando potrebbe avvenire un miracolo. Forse però un miracolo grande come quello dei Nirvana non avverrà mai più.


Quando una persona sente pronunciare il loro nome, inevitabilmente si ritrova ad associarlo anche a quello di Kurt Cobain, cantante e chitarrista tanto incredibile e geniale quanto lunatico. Cobain aveva delle idee molto semplici e chiare su come dovevano essere strutturate le canzoni del suo gruppo, ma in quella semplicità c'era tutta l'insoddisfazione, la violenza e l'apatia di un'intera generazione nei confronti delle persone, del mondo e della vita. Con il supporto di Dave Grohl alla batteria e Krist Novoselic al basso il trio si lancia verso una vertiginosa ascesa alla gloria fino a diventare uno dei gruppi più influenti della storia. Grazie a una canzone come Smells Like Teen Spirit il cantante di Aberdeen diventa il simbolo concreto dei sentimenti dei giovani ragazzi che si abbandonano ogni giorno ai loro vizi e si scontrano con un mondo che non riesce a comprenderli. Un riff leggendario che sconvolge l'anima, una voce graffiante che penetra nel cuore e un testo che incarna alla perfezione il significato del titolo dell'album: non importa. "Ora siamo qui, intratteneteci". Il resto non conta.
Ascoltare subito dopo un pezzo come In Bloom ti fa rendere conto del fatto che non si è di fronte ad un disco come gli altri. Ogni strumento viene messo sotto i riflettori, il climax che si crea nelle strofe esplode in un ritornello impossibile da dimenticare e l'assolo è sconvolgente. La particolare voce di Cobain viene esaltata al massimo nell'incredibile Come As You Are, altro brano storico. Il riff sembra uscire dal fondo di una bottiglia di vetro, le melodie sfiorano il pop senza mai raggiungerlo perché la voce di Cobain è tanto bella quanto pungente. Una delle canzoni più accessibili del disco nonostante sia difficile riuscire ad inquadrarla in modo definito proprio per le sue peculiarità. Ma questo è ciò che ha reso grandi i Nirvana. Lithium è un'alternanza schizofrenica di odio e amore, di energia e grazia. Un testo sociopatico per una di quelle canzoni che live lascia un segno indelebile con un ritornello tanto semplice quanto efficace.
Pezzi sfrenati come Breed, Territorial Pissings, Lounge Act e Stay Away vi faranno schizzare come palline di un flipper. Chitarre distorte al limite, ritmi tiratissimi, pura frenesia che prende a piene mani dal punk tutta la sua cattiveria. Kurt Cobain sporca la sua voce fino alle viscere e devasta il microfono con un'energia impressionante, talmente tanta che in Territorial Pissings arriva a fine canzone senza un filo di voce e comincia a sbraitare i versi senza pietà. I testi passano in secondo piano, a volte arrivano ad essere persino senza senso, ma l'importante è scatenarsi. Quest'energia che permea ogni nota in ogni canzone e lo stile ruvido sono la piena essenza del grunge, che i Nirvana elevano ad un livello superiore grazie a melodie tutto sommato accessibili a chiunque. Drain You e On A Plain racchiudono tutto quello che è stato detto finora, con la prima che spicca per il fatto di avere uno dei testi più comprensibili e interessanti dell'album. La seconda risulta meno attraente rispetto a quanto ascoltato prima. C'è da dire che il paragone è abbastanza ingiusto perché l'intero album è farcito di brani leggendari, perciò in un qualsiasi altro disco questi pezzi non sfigurerebbero di certo.
I Nirvana avevano anche un lato più intimista e meno sfrenato, come dimostrano Polly e Something In The Way. Entrambe vedono l'uso della chitarra acustica, ma le atmosfere sono completamente diverse. La prima si discosta drasticamente dalla rabbia degli altri brani con melodie pop e un giro di accordi immediato. La seconda è come una strada notturna che conduce verso luoghi sconosciuti, atmosfere cupe stimolate dal lento suono degli archi che avvolgono ogni cosa permeano la voce di Cobain di una certa misticità. Da non perdere. Nell'album è contenuta una traccia fantasma chiamata Endless, Nameless, ascoltabile dopo aver aspettato alcuni minuti dalla fine di Something In The Way. Una traccia disturbante che sfiora la cacofonia, creata con il solo scopo di instillare l'ansia nell'animo di chi l'ascolta. Cobain urla a squarciagola, la batteria picchia selvaggiamente, basso e chitarra sembrano dover esplodere da un momento all'altro in preda ad una crisi euforica.


Se lo scopo della musica è quello di mandare un messaggio e stimolare l'emotività di chi l'ascolta, i Nirvana centrano l'obiettivo in pieno. Il trio di Seattle riesce a toccare ogni corda dell'animo umano con brani che ancora oggi vengono celebrati per il loro impressionante impatto emotivo e sociale che riescono ad avere su chi l'ascolta. Nevermind è il risultato e la trasposizione fisica dell'astio e dell'insoddisfazione di Kurt Cobain, un uomo tanto geniale dal punto di vista musicale quanto instabile da quello umano. Certamente senza la sua follia non avremmo mai potuto avere sotto mano questo lavoro incredibile, ma quando questa follia spinge un uomo a spararsi in testa non si può che pensare a quanto sia amara la vita, a quanto possa essere caro il compromesso del successo e della fama. Meglio ricordarlo non per l'uomo che sarebbe potuto essere, ma per il grandissimo artista che è stato. Un artista che ha rivoluzionato la musica con la sua ispirazione e la sua sensibilità.


VOTO: 9





sabato 11 ottobre 2014

Lorde - Pure Heroine



1) Tennis Court
2) 400 Lux
3) Royals
4) Ribs
5) Buzzcut Season
6) Team
7) Glory And Gore
8) Still Sane
9) White Teeth Teens
10) A World Alone

Extended Edition
11) No Better
12) Bravado
13) Million Dollar Bills
14) The Love Club
15) Biting Down
16) Swingin Party


Quasi 17 anni. Questa l'età di Ella Marija Lani Yelich-O'Connor, in arte Lorde, al momento della pubblicazione del suo primo album. Assurdo se pensiamo che generalmente a quest'età i ragazzi comuni si trovano sui banchi di scuola a studiare. La giovane neozelandese invece a quest'età arriva in cima alle classifiche di vendita di tutto il mondo, vince ben due Grammy Awards e si esibisce nei più grandi festival internazionali di fronte a migliaia di persone. Un vero e proprio sogno. Che fortuna avere la possibilità di trasmettere emozioni e mandare il proprio messaggio a un'età così giovane. E nonostante l'inesperienza Lorde ne ha di cose da dire, cose importanti, attraverso il suo stile indie pop influenzato dall'hip hop e dal trip hop. Anche se non sempre lo fa in modo efficace.


Il titolo dell'album ha una doppia interpretazione: Pure Heroine può indicare la sostanza stupefacente e rappresentare i vizi della società, l'ossessione per lo sfarzo e la dipendenza dall'apparenza, ma può anche indicare il concetto di ragazza semplice e pura, critica nei confronti del mondo mainstream con i suoi valori controcorrente, proprio come un'eroina. Un po' pretenzioso, ma una canzone come Royals non passa di certo inosservata. Un testo tagliente contro l'opulenza e lo sfarzo, un beat tanto semplice quanto azzeccato e dei cori che farete fatica a togliervi dalla testa. Gli ingredienti che le hanno valso i due Grammy per miglior performance pop solista e canzone dell'anno sono la concretezza e il saper ricavare tanto da poco. Tennis Court apre l'album con una frase significativa ("Non pensi sia noioso il modo in cui parlano le persone?") scaricando su di essa tutta la tipica insofferenza adolescenziale per il mondo. Lorde riesce a valorizzare con grande efficacia la sua voce, anche grazie alla sua tecnica.
Altro pezzo degno di nota è Team che più o meno ricalca i temi già citati nei due brani precedenti ma che si distingue per un beat profondo che scuote le orecchie, viscerale come un battito cardiaco. Notevole come la giovane neozelandese riesca a conciliare la sua voce delicata con un beat così incalzante. Sorprendente Glory And Gore con la sua atmosfera tetra e il sapiente utilizzo dei cori e delle seconde voci. Bassi e synths si amalgamano arrivando quasi a stordire l'ascoltatore. Ma la vera sorpresa si chiama Buzzcut Season, la traccia che non ti aspetti in un disco come questo. Il piano è quasi impercettibile, il beat dà il suo apporto senza interferire con l'atmosfera delicata del pezzo e Lorde mette in luce tutte le sue qualità vocali e compositive in un testo che parla delle tragedie che sentiamo ogni giorno nei telegiornali e di come sia possibile fuggirne attraverso le cose belle della vita, come la musica. Potreste avvertire un brivido lungo la schiena durante l'ascolto.
Questi presentati sono i brani migliori dell'album, quelli che si ergono sopra altre cinque composizioni che si alternano tra un livello mediocre e basso. Lorde abusa del suo schema vincente che unisce grande impatto alla semplicità e finisce col realizzare alcune tracce godibili ma insipide, alle quali si poteva aggiungere un po' di sale. E' il caso di 400 Lux e Ribs. La prima è un pezzo pop semplice che punta sulla solita accoppiata beat-voce ma con risultati meno convincenti, complice lo stile vocale abbastanza piatto della neozelandese. La seconda avrebbe il potenziale di imporsi per via dell'atmosfera più soft ma raggiunge un buon livello di interesse solo nel ritornello, mentre nelle strofe risulta sciapa, come se si trascinasse. White Teeth Teens passa abbastanza inosservata, una traccia trasparente della quale non ricorderete neanche l'esistenza a fine ascolto.
Discorso simile per A World Alone che dovendo chiudere l'album dovrebbe essere una traccia di forte impatto emotivo, ma mancano gli elementi rilevanti, quelli che rendono memorabile una canzone. Nota positiva però va al testo, specialmente la frase che chiude tutto e riassume uno dei temi del disco, quasi riallacciandosi alla frase iniziale ("Le persone parlano. Lasciale parlare."). Un discorso completamente diverso va fatto per una traccia in particolare: Still Sane. Noiosa, moscia, un'acuta stonatura all'interno del disco. Lorde striscia il suolo per tutta la sua durata ed è davvero difficile resistere senza sentire il bisogno di saltare e passare alla traccia successiva. Assolutamente da evitare.


L'album è disponibile anche in una versione estesa digitale con altre sei canzoni, cinque delle quali prese dai due precedenti EP dell'artista. Questi brani si distinguono per una maggiore influenza hip hop e trip hop. Tra questi spicca su tutti Million Dollar Bills con le sue fantastiche sonorità hip hop orientali. Peccato che la durata non arrivi neanche ai due minuti e mezzo per un brano migliore di tanti altri presenti nell'edizione standard. In Bravado tornano a farsi sentire le doti vocali della cantante, mai noiosa quando si tratta di usare stili e tecniche diverse. Ancora una volta l'impatto della semplicità risulta l'arma vincente (quando usato adeguatamente).
Piacevoli ma sempre nell'anonimato No Better e The Love Club. La prima punta su un cantato veloce e cerca di mettere in evidenza i sintetizzatori, usati principalmente come contorno nelle altre tracce. The Love Club è molto ritmata, ma ancora una volta Lorde si fossilizza sullo stesso stile portandolo avanti per tutto il pezzo senza mai cambiarlo. Un po' fastidiosi i coretti che aumentano di intensità ad intermittenza. Biting Down sembra essere figlia di Glory And Gore e risulta piuttosto interessante grazie ai suoi ritmi serrati. La frase "It feels better biting down" ripetuta ossessivamente diventa quasi parte integrante del beat. Swingin Party risulta piatta, sulla falsa riga di Still Sane anche se non raggiunge un livello così alto di noiosità.


La giovane Lorde ha ancora tanta strada da fare nonostante i risultati conseguiti. Si propone come un potenziale talento grazie ad alcune tracce davvero notevoli, ma spesso cade nella monotonia e commette alcuni errori dovuti all'inesperienza cercando la strada facile con la riproposizione di una formula efficace, che però non può colpire sempre il bersaglio. Affinando la sua tecnica e lavorando su uno stile che è già abbastanza definito potrà in futuro raggiungere livelli superiori e affermarsi come una delle migliori artiste pop contemporanee. Ma al momento ci consegna un disco dalle tematiche importanti che si oppone alla mentalità mainstream dei tempi moderni con un sound fresco da perfezionare, pieno di influenze delle quali è difficile accorgersi perché vengono ben mascherate dalla semplicità e l'immediatezza create dalla neozelandese. Il futuro è roseo, il presente è violaceo. Come il suo rossetto.


VOTO STANDARD EDITION: 6,5

VOTO EXTENDED EDITION: 6,5






martedì 30 settembre 2014

Subsonica - Una Nave In Una Foresta



1) Una Nave In Una Foresta
2) Tra Le Labbra
3) Lazzaro
4) Attacca Il Panico
5) Di Domenica
6) I Cerchi Degli Alberi
7) Specchio
8) Ritmo Abarth
9) Licantropia
10) Il Terzo Paradiso



Dopo ben sei album in studio, migliaia di copie vendute e concerti nei più grandi palazzetti italiani sempre sold out i Subsonica possono essere tranquillamente considerati uno dei gruppi di maggiore impatto della musica italiana. Il loro sound ibrido, a metà tra il rock e l'elettronica è un marchio di fabbrica inconfondibile che li ha resi unici e li ha portati al successo. Da questo viene automatico rendersi conto che i Subsonica ormai non hanno più nulla da dimostrare a nessuno, hanno raggiunto quell'agognato successo che giovani musicisti di tutta Italia cercano ogni giorno di agguantare e l'hanno mantenuto sempre vivo anno dopo anno. Ma i cinque piemontesi hanno ancora fame, hanno ancora la voglia, l'energia, hanno ancora qualcosa da dire. E lo dimostrano con questa nuova fatica, il loro settimo album.


L'immagine che evoca il titolo dell'album, Una Nave In Una Foresta, è alquanto significativa e suggestiva. Un oggetto estraneo e artificiale in un luogo sconosciuto e naturale, un mezzo di trasporto che si trova nel posto sbagliato e che quindi diventa inutile, fuori luogo, inadatto.